Comune di Roma, a Tor Sapienza fra degrado e malavita

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Tutti adesso vanno a Tor Sapienza, una periferia sino ad oggi dimenticata come tante altre dove da San Basilio a Tor Bella Monaca, da Primavalle a Ponte di Nona l’illecito dilaga. Tutti ci vanno ma con diverse modalità. C’è chi, come il truculento Borghezio ci va giusto per prendere un cappuccino, chi come l’ex padano oggi Lepenniano Salvini ci andrà senza la presenza di telecamere (non si comprende se per innata e schiva modestia o paura che riprendano scene similia quelle di Bologna). Infine, last but not least ci è andato anche il sindaco Ignazio Marino, che ha incontrato i comitati. Come se questi con i loro scarsi seguaci, avvezzi a battaglie su giardinetti, aree verdi, parcheggi, illuminazione ecc. contro la speculazione in agguato, fossero gli interpreti fedeli di quel magma confuso di paure che ormai si esprime anche nel razzismo conclamato quando non nella violenza auto-organizzata (apparentemente).

Ovviamente i media abbondano di notizie sul degrado e il malessere delle periferie “esplosive” che nemmeno conoscevano finchè fatti di cronaca quasi nera attirassero nugoli di cronisti e cameraman pronti a cogliere ‘le voci vive’ del residente di turno, come un oracolo. Ci mancava Alemanno, indubbio corresponsabile del disastro come quelli che lo hanno preceduto e che hanno fatto pagare alla sinistra il pesante prezzo elettorale della primavera del 2008, che si lancia in arditi paragoni sociologici paragonando queste periferie de’ noantri alle banlieu francesi dove però erano gli immigrati ghettizzati a ribellarsi contro i ‘bianchi’ e non viceversa. Poi ci sono i comunicati delle forze politiche, allarmati, quasi trepidanti per quanto accade senza che a questi ludi cartacei corrisponda la presenza di assessori, consiglieri e deputati di quegli stessi partiti scomparsi dai territori. O meglio, non è esattamente così perché la destra estrema (movimentista o sociale che sia) invece c’è ed aizza mentre lo Stato batte in ritirata tentando di portar via i minori ‘neri’ da questo temporaneo rifugio, perché di rifugiati si tratta. Intanto l’odio razziale si estende ai rom, ai bianchissimi rumeni e fra un pò a tutti i diversi, gay compresi, che turberebbero la vita beata di tanta bella gente. Che sicuramente è la maggioranza, ma che su quella piazzetta giorno e notte assiste allo spaccio di ogni ben del dio tossico. Una sorta di Scampia nostrana con tanto di vedette e vie di fuga che da tempo i residenti ben conoscono e tollerano a malincuore. Dove si gambizzano, come è successo  poche ore fa, fra bianchi che più bianchi non si può. E come a Scampia succede che la continua presenza delle forze dell’ordine dia fastidio perché lì, al residence, la polizia ci va spesso proprio perché vi risiedono minori che vanno tutelati, protetti dal percorrere la facile via dello spaccio. Già si dice che parte dei neri (organizzati) abbia trovato accordi con la malavita del posto per una equa spartizione del territorio, come ormai avviene regolarmente a Napoli.

Ma si mormora anche che organizzazioni antagoniste, non necessariamente di sinistra, stiano pensando di occupare quello stabile per piazzarci homeless secondo lo sport delle occupazioni abusive così diffuso nella Città Eterna. Insomma le cose non sono sempre come appaiono e le verità, come nel film giapponese “Rashomon” delle quattro verità, sono sempre più di una. Ciliegina sulla torta la Caritas, che di contributi pubblici per l’immigrazione ci campa, accusa le coop sociali rosse di camparci per lo stesso motivo. Manca solo che la ringiovanita Giorgia Meloni, emula del mai dimenticato La Russa, invochi l’intervento dell’esercito su quei territori. Grandi dei resti di una Capitale opulenta che ancora esistono. Agglomerati nuovi e vecchi che si degradano nell’assenza di servizi, dove i residenti vanno perdendo il senso del sociale e dello stato, mentre la maggioranza dei cittadini per bene si chiude nel sordo e rancoroso brontolio che è già protesta diffusa, anche se silenziosa. Altro che Tweet, Leopolde e talk show televisivi: qui ci vorrebbe gente con le palle, disinteressata ai lucrosi giochi della politica, che abbia il coraggio di andarci in quelle mitizzate periferie (ricordate Pasolini e le borgate?).

Ci vorrebbe gente che sappia affrontare anche il disprezzo della gente, abbia il coraggio di riaprire circoli, associazioni non delegando alle parrocchie quel poco che possono fare o agli operatori e ai volontari che pure ci sono. Gente che ficchi il naso nella realtà che spesso puzza, che apra la pista a uno stato e alle autorità locali latitanti. Il sindaco Petroselli lo faceva, ma parliamo del secolo scorso oggi siamo alla “Politica 2.0”, dove i logaritmi dei social network alienanti contano più di sangue e nervi delle persone vere.

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