Dalle scarpe di Ilary a Totti a Roma nord: una storia trasformata in una storiaccia

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Le favole una volta prevedevano al massimo una scarpetta di cristallo, no logo. Lo scoccare della mezzanotte dalla torre dell’orologio, mica un Rolex. Nemmeno la fantasia più cinica si sarebbe immaginata la scarnificazione della love story Capitale tra Totti e Ilary, marito di cognome e una moglie di nome. Le cento scarpe firmate, dopo i Rolex e le borse griffate, una Smart. Il Re di Roma e la principessa hanno fatto una brutta fine, di lieto non c’è niente. Dall’intervista al Corriere della Sera di Totti viene giù, brandello dopo brandello, l’architettura d’un matrimonio popolare. A colpi per lo più bassissimi. Con la stampa alle calcagna, la tv deteriore a farne polpette, i tapiri incassati con imbarazzo, gli editoriali di contorno con l’alibi incorporato: tocca occuparcene perché questa saga “parla di noi”. Noi che – infami – ci godiamo le rovine della fiaba, tifosi della strega o dell’orco, lo squallore, e la miseria umana d’una vicenda introdotta al pubblico dominio col tormentone dei “figli da proteggere”. Le povere creature di mamma e papà, occupati a non traumatizzarli mentre delano sulla parrucchiera e il personal trainer. Una desolazione senza scampo. La traiettoria punta dritta al Grande Fratello Vip. Maria Laura Rodotà sulla Stampa scrive che “questa rottura tra semidei pop ci aiuta a capire tante cose del nostro mondo, e pure della teoria del consumo vistoso, proposta da Thorstein Veblen, diffusa su Instagram”. E ancora: “Ci avevamo creduto. Insistevamo a pensarli diversi, quasi disneyani, lui buono, lei simpatica, i figli carucci al netto dei nomi. Fuori dalla bolgia dei calciatori e delle ragazze con visibilità, che si lasciano di continuo, che confondiamo sempre”

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