
Le Rsa sono un grande affare. Certo ghiotto, probabilmente sporco, sicuramente opaco. Solo nel Lazio vale circa 500 milioni, mezzo miliardo di euro. Ci voleva Covid-19 per togliere il coperchio ad un settore gestito al risparmio, spesso, come raccontano le cronache di questi giorni, fuori legge, quasi sempre in modo spregiudicato dove prevale la logica d’impresa e del profitto più che quella della tutela degli anziani ospitati per essere curati.
Dalle stanze di queste strutture è passato il contagio ed ha trovato terreno fertile, nonni fragili ,vittime designate. Diventati ostaggio della pandemia, padri e madri abbandonati, spesso all’insaputa dei figli come molti hanno raccontato. Le testimonianze in questo senso abbondano. La beffa sta nel fatto che tutti si erano fidati di queste strutture perche accreditate con il servizio sanitario pubblico. In qualche modo con il certificato di garanzia.
La realtà invece parla di personale mandato allo sbando medici contagiati nel silenzio che ha creato grumi epidemici da zona rossa. Il discorso ha carattere generale vale da nord a sud dal Trivulzio di Milano a Rocca di Papa. Nel Lazio il fenomeno appare particolarmente esteso e chiama sul banco degli imputati i gestori di queste strutture che sono gli stessi operatori privati di sempre, quelli che da almeno 20 anni campano e si arricchiscono con soldi pubblici.
Grandi gruppi che vanno dalla Giomi proprietaria Rsa contagiata a Civitavecchia ora centro Covid, all’Ini di Grotafferrata, alla immancabile Tosinvest sempre in prima linea quando si tratta di lavorare sul bordo estremo delle regole come raccontato dalle cronache di questi ultimi decenni e confermato dalla vicenda di Rocca Di Papa. Questi gruppi, con pochi altri, dominano il settore privato che lavora con la Regione. A seguire uno sciame di piccoli operatori che magari gestiscono solo una struttura. Un universo lasciato a se stesso cui vanno aggiunte le strutture per i pazienti psichiatrici e per i disabili ex articolo 26 come quella di Campagnano.
La magistratura su questo mondo ha acceso i fari, la Regione ora corre ai ripari. L‘ordinanza regionale numero 31 prevede un giro di vite sulle Rsa e le strutture socio-assistenziali private accreditate”. Lo ha annunciato l’assessore regionale alla sanita Alessio D’Amato, sottolineando che “finora sono state effettuate 365 ispezioni“.
Luce sul mondo dei più fragili ridotti a merce, rendita per pochi. Anziani, disabili, pazienti psichiatrici. Strutture gestite con personale ridotto all’osso, spesso straniero, stipendi al minimo, pochi spicci per il vitto, a fronte di rette regionali giornaliere assai robuste. Per la rete delle Rsa la Regione nel 2019 ha impegnato oltre 181 milioni di euro, altri 69 sono stati spesi per le strutture che ospitano malati psichiatrici. Cifra che si raddoppia perche copre la metà della spesa , il resto è a carico della famiglie o dei Comuni.
A questi vanno aggiunti i fondi per finanziare i centri che seguono i disabili ex art 26 come il cluster nel comune di Campagnano dichiarato oggi zona rossa. Nel centro di riabilitazione Santa Maria del Prato ubicato proprio nel cuore del centro abitato, si sono registrati 51 utenti Covid positivi su un totale di 105, e 28 operatori su un totale di 61. Una caso emerso all’improvviso e che i gestori avevano taciuto. Il comune sarà chiuso fino al due maggio. Ricavi privati e pubblici disagi. Urge fare chiarezza e riportare a umanità questo circuito diventato riserva di cinismo.
Luca Benigni