“Unità nella diversità”, recita così il motto dell’Ue adottato nel 2000. Da questo motto è partito il convegno del 23 ottobre, proposto dall’Associazione per il Riformismo e la Solidarietà, a sette mesi dalle elezioni per il rinnovo del parlamento di Bruxelles.
Al convegno hanno partecipato Sergio Fabbrini, Direttore della Luiss School of Government, Paolo Gentiloni, Deputato del Partito democratico. A seguire una tavola rotonda coordinata dal giornalista di Avvenire, Eugenio Fatigante, cui hanno preso parte Maurizio Gardini, Presidente Confcooperative; Marcella Panucci, Direttore generale Confindustria; Giovanni Sabatini, Direttore generale Abi; Luca Visentini, Segretario generale Confederazione europea dei sindacati (in collegamento da Bruxelles). Le conclusioni sono state di Pier Paolo Baretta, presidente AReS.
Tra sette mesi ci saranno le elezioni europee e tutti siamo coscienti che sarà un momento importante a causa di un confronto tra europeisti e non europeisti. Ma su cosa verterà il confronto? Non certo sul fatto che vogliamo uscire dall’Europa, anche i partiti euroscettici si rendono conto che sarebbe un suicidio, ma sulla visione di un’altra Europa. Il convegno ha indirizzato molto bene i due aspetti del problema, economico e politico, del mercato e del consiglio dei ministri, del parlamento e del governo, mettendo l’accento sul fatto che la istituzioni europee, così come congegnate oggi, non danno le risposte che tutte si aspettano, ma sono dominate da leadership nazionali che ne determinano l’azione. È la governance in discussione quindi l’interdipendenza tra i componenti che, per storia, dimensioni, cultura sono molto diversi.
L’Europa è nata come comunità economica e la Costituzione europea, è stato un progetto redatto nel 2003 dalla Convenzione Europea e definitivamente abbandonato nel 2007, a seguito dello stop alle ratifiche imposto dalla vittoria del no ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi. Nel 2008 è entrato in vigore il trattato di Lisbona. Ne consegue che essendoci un coordinamento volontario dei governi su temi importanti, come ad esempio a difesa comune immigrazione, sicurezza, i cittadini subiscono decisioni in cui non si riconoscono. In questi anni, spiega molto bene il prof. Fabbrini, due sono stati i momenti difficili, la crisi greca e la Brexit. La prima ha evidenziato che le nazioni non si riconoscono nella politica comune, anche se poi ha dovuto subirla, la seconda ha sdoganato la parola ‘uscita’ anche se ora ne sta patendo le conseguenze e sta ritornando sui suoi passi. Ma il Regno Unito partiva da una diversa posizione, avendo mantenuto la moneta, e quello che i gruppi sovranisti stanno paventando ora, con l’aiuto di Bannon, non ha un solido costrutto, prima di tutto perché questi gruppi, per loro natura individualisti, non riusciranno a trovare una strategia comune, secondo perché una strategia basata su ‘incasso i voti subito’ non ha una vision e senza vision, senza un’alternativa non si va da nessuna parte.
Consideriamo la politica delle due velocità, dice Gentiloni, e guardiamo due modelli diversi Gli Stati Uniti d’America e la Svizzera. Sono federazioni, nate a partire da un nucleo cui man mano si sono uniti altri. Noi, dice ancora, partiamo guardando a pagine gloriose di identità nazionale, guardiamo ad un modello che coniuga democrazia e libertà che oggi è in crisi, rilanciamo quindi l’europeismo su basi diverse. Focalizziamo le elezioni sulla domanda: Europa sì, Europa no.
I referendum ci hanno fatto male, gli risponde Panucci, la sfida va fatta sul terreno della proposta: cosa vogliamo riformare? Dobbiamo avere chiaro cosa dovrebbe fare l’Europa in futuro, avere un quadro finanziario pluriennale, una politica di coesione, definire risorse per l’innovazione nelle PMI, investire sulle infrastrutture senza le quali le nostre aziende non possono lavorare, avere un ruolo più importante del Parlamento e una Governance che sia in grado di prendere decisioni democratiche. Si parla poi delle Banche che hanno bisogno di avere una funzione integrata di vigilanza europea sul settore finanziario ed una maggiore armonizzazione delle regole. Sabatini mette poi l’accento su un punto importante: non siamo attrezzati in modo strutturato per contare nelle istituzioni europee, non abbiamo un commissario nel settore economico, cosa che ci permetterebbe di contare di più. Anche i sindacati chiedono maggiore integrazione ed evidenziano il grande malessere della loro base per la crisi economica e le politiche di austerità. Chiedono un modello macroeconomico alternativo, regole al servizio delle persone ed un modello di crescita sostenibile.
Tantissimi temi, ognuno dei quali merita un approfondimento. In conclusione la richiesta è Più Europa ma quale Europa? Lo scopriremo insieme.