Questo articolo è stato scritto dal Dott. Benedetto Astiaso Garcia, creatore e fondatore di Basta Ansia. Psicologo, psicodiagnosta e counsellor, esperto nell’aiutare le persone a sviluppare strategie finalizzate al cambiamento, in termini di abbassamento dell’ansia, incremento dell’autostima e sviluppo delle capacità comunicative, relazionali e sociali.
La paura dell’abbandono travaglia le vite anche dei più forti o di coloro che si sentono tali.
Per questo analisti, terapeuti e psicologi affrontano questa sofferenza offrendo delle chiavi di lettura per uscire da situazioni spesso angoscianti.
Come mai alcuni di noi sono spesso ossessionati dall’idea di poter rimanere soli?
Per quali ragioni viviamo con il timore costante di perdere le persone che maggiormente amiamo alternando stati di ansia, depressione e rabbia nelle relazioni?
Perché anche persone a noi vicine, partner o familiari non sembrano rispondere al nostro bisogno di affetto e di sicurezza?
Il timore dell’abbandono ha origine nei primissimi anni di vita e successivamente condiziona relazioni di natura intima e sentimentale portando molti a sentirsi spesso trascurati, soprattutto non corrisposti affettivamente.
Rimanere soli diviene dunque la paura ossessionante che induce ad interpretare ogni cosa come una possibile minaccia di distacco, allontanamento, tradimento e mancanza di cura.
Si pensa che la felicità dipenda esclusivamente da un’altra persona e pone l’individuo nella condizione di dover sperimentare momenti di angoscia o addirittura di panico, influenzando negativamente la qualità della vita e degli stessi legami.
Certo è che l’ambiente della prima infanzia gioca un ruolo di primaria importanza nello sviluppo di tale timore.
Nei primissimi anni di vita il bambino crea delle rappresentazioni mentali su se stesso e sulle figure di riferimento.
Ed è in questa prima infanzia che possono aver radici i timori di abbandono e solitudine.
Così gli studi hanno accertato che può sussistere anche una predisposizione biologica all’ansia da separazione rafforzata da una percezione della figura materna come assente, non attenta ai bisogni del figlio che alterna freddezza emotiva al calore.
Contribuiscono alla paura ‘abbandonica’ anche la morte di un genitore o separazioni e divorzi in famiglia.
Ma è l’inadeguatezza, la discontinuità e l’imprevedibilità affettiva della madre che gioca un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo di tale timore.
Succede infatti che nei primissimi tempi di vita con la madre, il bambino, oltre a crearsi una rappresentazione dell’altro, sviluppa una immagine di Sé che si porterà dietro nel corso degli anni riproponendola nelle relazioni adulte.
Ed è questa immagine che ci siamo costruiti nell’infanzia che va rimessa in discussione.
Se non si supera questo vissuto infantile capiterà di essere attratti/e da partner che non possono garantirti la stabilità e la prevedibilità che desideri perché vivi relazioni precarie e fragili con quel profumo familiare che conosci da sempre!
Succede allora che i legami affettivi adulti saranno connotati da un attaccamento morboso al proprio partner per evitare di perderlo, accompagnato da gelosia, possessività sino all’estremo addirittura chiedendo scusa anche quando non si ha colpa oppure l’assoluta incapacità a dire di NO.
Da questa fragilità nasce anche la punizione del proprio partner, ritenuto infedele, con silenzio ed aggressività passiva o peggio andandosi a cercare partners già impegnati in un’altra relazione.
Casi tipici per entrambi i sessi sono per gli ‘abbandonici’ la ricerca di partner emotivamente instabili da accudire magari con fragilità psichiatriche.
Oppure finiscono per trovare partners che passano dall’amore folle alla noncuranza completa.
In questi casi vale il detto meglio soli che male accompagnati!
Veniamo ora alle conclusioni del terapeuta:
Temere costantemente che l’altro possa abbandonarti, oltre a generare ansia da separazione e panico, potrebbe compromettere significativamente anche il tono dell’umore.
Immaginarti in un futuro fatto di isolamento, solitudine, mancanza di affetti ed incapacità di provvedere a te stesso, sviluppa morbosi meccanismi finalizzati al controllo dell’altro, inducendolo molto probabilmente a stancarsi delle continue richieste di affetto.
Ma attenzione, perché ricercare nel partner qualcuno che si prenda cura di te nello stesso modo in cui un genitore si prende cura di un figlio, significa condannare il rapporto ad una patologica morbosità di accudimento, privandolo dell’indispensabile libertà.
Chi teme troppo la solitudine rimane solo, o peggio, ancora circondato da persone destinate a deludere quotidianamente il proprio malato bisogno d’amore.
Il Cambiamento è Sempre Possibile!
Dott. B.A.G.