“Io amerei vivere su un pianeta tutto napoletano, perché so che ci starei bene, Napoli va presa come una città unica, molto intelligente, Napoli è troppo speciale, quindi non la possono capire tutti”.
Parole di un non napoletano conquistato dai colori e dagli odori della città partenopea. A parlare è Marcello Mastroianni e, probabilmente, con lui sarebbe stato d’accordo anche Norman Lewys, lo scrittore-ufficiale britannico autore del libro Naples ‘44 (dal 15 dicembre al cinema e dal 1° febbraio anche su Sky) da cui è tratta l’ultima opera di Francesco Patierno. Il documentario del regista è un viaggio fra le memorie dello scrittore, attraverso immagini di repertorio, che si legano con il presente quasi a formare un quadro dai colori malinconici e duri del passato e l’allegria di oggi. Naples ’44 racconta, grazie alle voci prestate di Benedict Cumberbatch (per la versione internazionale) e Adriano Giannini (per la versione italiana), una città martoriata dalla distruzione della guerra e dal peso famelico della scarsità di cibo. Ma anche l’amore di uno straniero per la “città del sole”.
«C’è stato un episodio, una volta a pranzo mio padre mi aveva raccontato come era riuscito a scappare per caso a un bombardamento a Napoli. Aveva trovato il marciapiede “giusto” perché tutti quelli a sinistra erano morti. Parlando di questa cosa mi disse “dovresti leggere Napoli ‘44 per capire quei tempi”. Io l’ho letto, mi sono innamorato e ho trovato un libro che non raccontava solo la guerra, ma il popolo e una città, facendolo con un’empatia e un equilibrio che non avevo mai trovato in nessun altro libro su Napoli. Da qui l’intuizione di come fare il film. Avevo già affinato uno stile di manipolazioni di materiale di repertorio e riprese. Un mix fra un film e un documentario, una forma che mi è in qualche modo congeniale».
Lei ha lavorato con grandi artisti, ma in questo caso ha avuto a disposizione le voci di Benedict Cumberbatch e Adriano Giannini…
«Il nostro era un progetto internazionale. Naples ’44 è un libro in lingua inglese. Col produttore Davide Azzolini abbiamo deciso di puntare su un attore inglese. Il primo della lista era Benedict Cumberbatch che fortunatamente amava il libro di Norman Lewis e aveva visto un mio film, “La guerra dei vulcani”. Lui ha accettato subito. Adriano (Giannini, ndr) lo conosco, lo stimo. Ha fatto un bellissimo lavoro. Non di imitazione come Cumberbatch perché è un altro stile. Ma ha fatto un lavoro suo che rispecchia quello che mi piaceva uscisse dal film».
Ma nel “cast” del suo film figurano anche Mastroianni e Totò…
«Certo perché questo meccanismo di manipolazione del materiale prevede l’utilizzo di film che, però, con il montaggio assumono un altro senso. Io, scherzando, dico che è come se avessi ridiretto attori come Mastroianni o Totò che interpreta il personaggio forse più divertente e importante».
Un omaggio ai due grandi attori?
«Un omaggio agli attori, al cinema che ha raccontato quegli anni. È un’operazione complessa, artisticamente complessa. C’è molta roba. Non è solo un film che racconta la guerra…».
Il film alterna immagini di repertorio e immagini di girato. Un mix fra “storico” e moderno.
«Immagino nel film che lo scrittore Norman Lewys torna, tanti anni dopo, a Napoli e nell’attraversare la città ricorda i momenti descritti nel libro. È un mix fra flashback e presente».
Ma Naples ’44 non è solo un film sulla guerra, è anche una storia d’amore…
«È una storia d’amore fra un autore e una città, fra un autore e i suoi personaggi. Tanto è vero che Norman Lewys nell’ultima pagina del libro dice una cosa molto forte: “Dopo aver vissuto un anno in questa città, se dovessi rinascere vorrei rinascere proprio a Napoli”. E detto da un inglese è una cosa fortissima».
Questo non è il suo primo film tratto dalla biografia di un personaggi, sto parlando de “Il mattino ha l’oro in bocca”. Cosa l’ha affascinata di Marco Baldini?
«Lui ha una vita piuttosto complicata, mi aveva molto incuriosito e trovavo unico questo ragazzo che faceva il dj. Lui andava in radio per far ridere e un minuto dopo era fuori con gli strozzini che lo attendevano per minacciarlo o picchiarlo. Quindi la “schizofrenia” di questo personaggio è molto curiosa, diversa. La storia mi sembrava quella di un Pinocchio moderno, ambientata negli anni 2000. Poi a me piace cambiare, non mi piace ripetermi. Mi piaceva confrontarmi con una commedia amara, dai forti tratti malinconici».
Lei non è solo un regista, anche uno scrittore. Nel 2012 è uscito “Il giostraio”, ha in programma di scrivere un altro libro?
«Diciamo di sì, solo devo trovare il tempo. Al momento ho una serie televisiva in 12 puntate che dovrebbe partire fra poco e il prossimo film che è sempre un ritorno a Napoli. Il libro l’ho scritto perché avevo una storia pronta. È stato un divertimento. Sono un lettore accanito, avevo una storia forte, forse difficile da raccontare al cinema».
Alessandro Moschini