Due idee di riforma costituzionale. Due idee di centrosinistra. Due idee d’Italia. Un solo partito, il Pd, due protagonisti: un ex premier che fu il primo inquilino postcomunista a Palazzo Chigi nel lontano 1999, Massimo D’Alema, autorevole capofila del fronte del No al prossimo referendum costituzionale di cui a giorni (finalmente) sapremo la data e l’ex candidato sindaco radicale, ultrà renziano, vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti. Il moderatore, Enrico Mentana, direttore del TgLa7 che garantisce la diretta tv dalla Festa dell’Unità di Roma a Pietralata da cui, alla fine di un giorno preautunnale di bombe d’acqua sulla capitale, esce l’ennesima (ormai ricorrente) immagine di un Pd deflagrante che sembra ancora una volta pronto a frantumarsi da un momento all’altro. E su cui, di certo, l’esito del referendum, in un senso o nell’altro peserà e per cui D’Alema, in caso di vittoria del no, ha già la soluzione: una riforma soft che comprenda monocameralismo e taglio del numero dei parlamentari, senza stravolgere il testo della Carta vigente.
Fatto sta che per ora a regnare è l’incertezza sul risultato e la certezza, ribadita più volte nel dibattito da Giachetti, dell’esistenza nel Pd di un “noi” e un “voi”, una faida interna di fronte alla quale davvero poco sembrano servire gli equilibrismi dell’ex segretario Bersani, sul fronte del “no trattante” in nome della romantica “ditta” di cui sembra esserci nei fatti sempre meno traccia.
Una posizione, quella bersaniana, alla quale non dà più credito nemmeno D’Alema che al massimo, da buon solista, si schernisce di fronte alle polarizzazioni di Giachetti:”Noi e voi chi? Io parlo e do voce a un popolo di centrosinistra che va oltre il Pd e non è d’accordo con questa riforma”.
Il reference book dalemiano è la conversazione (con Quagliariello che è di centrodestra, fa notare Mentana) dell’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida “non un estremista di destra o uno che voleva fare il commissario europeo…” pizzica D’Alema in apertura riferendosi alle ultime accuse riservate a lui da Renzi, appena prima di ricordare che il suo lavoro è un altro e che la sua mente è già a New York dove ha appuntamenti nei prossimi giorni alla Fondazione Clinton.
Giachetti, al contrario, parla della riforma costituzionale come della “battaglia di una vita” per la quale ricorda di “aver messo in gioco anche il suo corpo”, omaggio a Pannella che nella retorica giachettiana non manca mai, fino all’elogio del Pd di oggi col suo “nuovo corso più democratico” misurato dagli inviti alla Festa dell’Unità che, ricorda l’ex candidato sindaco, “fino a oggi non mi erano mai arrivati”.
L’occasione, dunque, è proprio la riforma costituzionale su cui “finalmente dopo trent’anni i cittadini sono chiamati a decidere”.
Il solista D’Alema, però, difendendo le numerose riforme realizzate negli anni:dall’elezione diretta dei sindaci alla legge elettorale uninominale, il Mattarellum, fino addirittura alla non riuscitissima riforma del Titolo V sul federalismo di quindici anni fa, (“voluta però più da Veltroni e Rutelli che da me”, ricorda furbescamente il Baffino) e figlia proprio del fallimento della Bicamerale presieduta da D’Alema nel 1997 e fatta saltare da Berlusconi.
Memorie che sono acqua per l’orto di Giachetti: “Come vedi, Massimo, il percorso delle riforme di oggi è stato lo stesso della Bicamerale. Stesso interlocutore, stesso modo di far saltare il tavolo. Noi però, a differenza vostra, siamo andati avanti e ora a decidere saranno gli italiani”.
“Non discuto il coraggio di andare avanti – ribatte D’Alema – ma si è andati avanti con le idee di quell’altro. Sempre tenendo conto che il Patto del Nazareno non era come l’ accordo sulla Bicamerale che almeno era nato in Parlamento…” chiosa facendo imbestialire Giachetti.
E dopo l’immancabile lite su chi ha flirtato di più con l’ex Cavaliere, tanto da evocare nel moderatore Mentana il paragone con Sandra e Raimondo Vianello, si torna al tema della serata.
D’Alema punge come un’ape sulla riforma del Senato che starebbe creando “una camera di serie B”.
“Siamo sempre stati favorevoli al Senato federale alla tedesca o all’americana – attacca l’ex premier – invece la nostra Camera di serie B sarà talmente poco federale che avrà 17 rappresentanti su 95 solo per la Lombardia e addirittura cinque nominati dal presidente della Repubblica. Che regione è il presidente della Repubblica?” si chiede ironicamente D’Akema.
In sala tra i supporter romani del Pd si dibatte fino ad alzare la voce, tanto da portare Mentana a invitarli ad andare a “Uomini e donne” “che però è di pomeriggio e su un’altra rete…”
D’Alema, tuttavia, non molla e definisce ancora il nuovo Senato un “pasticcetto” perché “è vero che non vota la fiducia ma ratifica i trattati internazionali e le norme europee, quindi in caso di maggioranze diverse dalla Camera bloccherà l’azione di governo”.
Giachetti sembra alle corde e D’Alema va ancora più a fondo, sostenendo che nessuno ha legittimato il Governo figlio di una maggioranza nata in un Parlamento eletto con una legge giudicata incostituzionale “a cambiare 47 articoli della Costituzione”.
Il volpino D’Alema porta dalla sua il presidente della Repubblica in carica, ricordando “un bellissimo discorso con cui Mattarella motivò la nostra contrarietà alla riforma di Berlusconi del 2005: quella era una legge votata dalla sola maggioranza, mentre la Costituzione è di tutti, disse l’attuale Capo dello Stato. Per questo anche oggi siamo contrari”. Oltre al fatto che, entrando nello scivolosissimo combinato disposto tra Costituzione e legge elettorale, D’Alema arriva a sostenere che l’Italicum introdurrebbe un presidenzialismo di fatto e senza contrappesi per cui andrà cambiato, come ha recentemente sostenuto lo stesso Napolitano.
Il renziano Giachetti ribatte citando il duro discorso del presidente della Repubblica emerito alla sua rielezione con il quale sferzò il Parlamento proprio sul tema delle riforme e della legge elettorale che sono stati “il perno dell’azione di questo Governo e su cui Renzi ha preso la fiducia”.
Quanto all’Italicum, di cui Giachetti resta un ultrà, il dibattito è stato sul fine ultimo che deve essere la governabilità secondo il vicepresidente della Camera o la rappresentatività del popolo, secondo D’Alema che più volte, suscitando le ire di Giachetti, ha definito l’Italicum cone “la brutta copia del Porcellum” mentre secondo il renziano la nuova legge sarebbe stata scriita “praticamente sotto dettatura della Consulta”.
E al richiamo di Giachetti al rispetto e alla memoria dei sessanta giorni di sciopero della fame praticato da lui “l’unico sfigato che ha digiunato per la legge elettorale, forse non te ne sei nemmeno accorto”, D’Alema tira fuori il cinismo del satiro:”Fosse stato per me avresti potuto mangiare anche porchetta in quei sessanta giorni”.
Un colpo sotto la cintola che ha chiamato la vendetta finale di Giachetti che, riabilitando il Patto del Nazareno già sminuito da D’Alema, è andato a ripescare “il patto della crostata” sancito a casa di Gianni Letta tra Berlusconi e D’Alema nel 1997 sulle riforme della Bicamerale. Nel novero gastronomico non è stato citato l’ancor più celebre risotto che rese famoso Gianfranco Vissani come lo chef di D’Alema sempre due decenni fa. Forse Mentana, a futura memoria, avrebbe dovuto portare tarallucci e vino, ingredienti conclusivi finora mai mancati nel trentennale e irrisolto dibattito sulla grande riforma costituzionale in Italia.
Daniele Priori