L’avevamo scritto e riscritto che dopo l’esito elettorale nel Pd sarebbe cominciata la resa dei conti. Soprattutto con il commissario e presidente di un partito, il Pd, ridotto ai suoi minimi storici del 17% dei consensi. A gettare il carico di briscola sulla testa di Matteo Orfini è stata il ministro della funzione pubblica Marianna Madia (verace espressione del partito romano) che nella sua intervista a Repubblica ha letteralmente affossato il suo compagno di partito affermando «in questo momento tutti gli schemi di gioco sono saltati. E bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo» spiega la Madia. Orfini quindi dovrebbe dimettersi perché «non ci possiamo più permettere ostacoli al cambiamento. In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capo corrente la candidi». Getta invece acqua sul fuoco il vice segretario Pd e ministro alle infrastrutture Lorenzo Guerini, il quale provenendo da Lodi di cui è stato sindaco, vede forse con distacco la rovente situazione romana e afferma: «Orfini si è assunto la responsabilità di commissario di Roma dopo Mafia Capitale e lo ha fatto con grande impegno e determinazione, di cui va solo ringraziato». Sin qui l’intervento dei big che non placa le polemiche e i veleni di chi sul commissario ne dice di tutto e di più. In questa cagnara Zingaretti, dato per papabile alla nuova segreteria che Renzi vorrebbe, si smarca trovando riparo nella sua carica istituzionale di presidente della Regione. Tutto dovrebbe venir rimandato al congresso di ottobre, ma già i cosiddetti ‘giovani turchi’ del partito e soprattutto i Giovani Democratici pupilla dell’occhio ormai appannato di Orfini, non hanno intenzione di mollare l’osso e si preparano alla controffensiva. Ovviamente una guerra di poveri fra le macerie di un partito ridotto a poco più di 7.000 iscritti in pochi anni e spossato dalla campagna elettorale per Giachetti sulla cui vittoria ben pochi scommettevano. Sin qui Roma. Ma lo tzumani della sconfitta travolge anche il partito della Provincia che ha perso piazze forti importanti quali Genzano ai Castelli e Nettuno sul Litorale. Anche nella Regione, dove peraltro il M5stelle non ha sfondato, i risultati sono stati più che deludenti. Tanto che al momento l’attenzione si concentra nella Capitale mentre non viene segnalato ai naviganti alcun comunicato o pregevole commento sul risultato elettorale da parte del segretario regionale on Fabio Melilli da Rieti, dirigente poco propenso allo scontro che pure si profila anche a livello regionale. In ogni caso, distrutte le correnti come vorrebbe la vulgata di Orfini, vero cancro del partito come vorrebbe l’ex king maker Bettini prolifico di memoriali, le cordate esistono ancora ad ogni livello e ben agguerrite. Sull’esito disastroso della provincia tenta, ad esempio, di spargere miele il senatore Bruno Astorre maggiorente dei Castelli, mentre sull’esito regionale incombe (per ora) un silenzio carico di tensione. L’impressione è che la sorte di questi gruppi dirigenti verrà in qualche modo decisa dalla riunione della direzione del Pd venerdì, con il discorso del segretario Matteo Renzi che potrebbe anche non esitare a buttare a mare compagni e amici di provata fedeltà. Non ultimo Orfini che in ogni caso se ne può uscire con la scadenza del commissariamento, lasciando ad altri la gatta, anzi il bellicoso giaguaro se non da pelare, almeno da smacchiare.
Giuliano Longo