L’esito in parte scontato del cosiddetto referendum contro le trivelle ha suscitato ondate di entusiasmo, talora provocatorio, da parte dei sostenitori di Matteo Renzi che ora si vedono spianare la via verso un sicuro successo per quello costituzionale. Sul fronte opposto gli avversari tentano di valorizzare il voto di quei 16 milioni di elettori che si sono recati alle urne. In verità, come succede sempre in questo Paese, è molto difficile che la politica si limiti ad una valutazione obiettiva dei risultati e ciascuno tira l’acqua al suo mulino.
IL VOTO A ROMA
Nella Capitale la percentuale degli elettori è stata leggermente superiore al dato nazionale con quasi il 35% degli elettori alle urne e l’89% contrari alle trivelle che hanno votato Sì. Ma è soprattutto interessante il dato numerico relativo a quei 640mila che per il Sì hanno votato. Anche se i raffronti con altre competizioni non referendarie hanno scarso senso, va però rilevato che alle ultime comunali di Roma si recò ai seggi solo il 52,8% degli aventi diritto pari a un milione 203mila elettori. Alla coalizione che sostenne Ignazio Marino al primo turno toccarono 664mila voti. Dati che confermerebbero un discreto successo referendario anche in termini di partecipazione, vista la tendenza romana ad un astensionismo di massa e diffuso che potrebbe ripetersi anche per la competizione del prossimo 5 giugno. Se è difficile attribuire il Sì alle varie forze politiche, eccettuate quelle che si sono palesemente opposte alle trivelle, si sarebbe verificata la curiosa saldatura di un fronte che raccoglie il M5 stelle, Sel/Sinistra italiana, parte della minoranza del Pd sino alla destra di Salvini/ Meloni e all’estrema con Casapound.
I CONTI DI GIACHETTI
Un cocktail che comunque potrebbe risultare indigesto per il turbo renziano Giachetti che di partenza non potrà contare sui 660mila voti ottenuti da Marino nel 2013. Soprattutto se verranno confermati i sondaggi che danno la pentastellata Virginia Raggi al 28%. Infatti gli stessi sondaggi, da prendersi con le dovute molle, vedono il Pd agli stessi livelli del 2013 quando da solo e senza liste collegate e Sel, raggiunse al primo turno il 26,6% dei voti. Allora quel partito non era ancora stato beneficato dell’effetto Renzi “vincesempre”, come si dimostrò alle Europee, ma nemmeno toccato ancora dagli effetti devastanti di mafia capitale. Questo dovrebbe bastare ai Democratici nostrani per una valutazione più attenta del voto di domenica. Anche perché i successi di Renzi a livello nazionale non sempre corrispondono a risultati positivi del Pd sui territori come ha dimostrato la competizione amministrativa dello scorso anno. Se con una grossolanità e un’arroganza inusitate alcuni seguaci di Matteo hanno deriso i referendari twittando un #ciaone agli sconfitti, ben difficilmente potranno twittare gagliardamente un @giachettistaisereno.
Giuliano Longo