Elezioni, Giorgia Meloni si candida ma è ostaggio del passato

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“Giorgia for mayor” si sentirà echeggiare nelle piazze di Roma ancora a lungo dopo la decisione della Meloni di scendere in campo nonostante le stucchevoli e fuorvianti polemiche sulla sua imminente maternità. Perché mamma Meloni il sindaco, o la sindaca, può farlo benissimo come tante donne di successo. Semmai è da vedere se il suo tira e molla per la candidatura, che stabilisce un asse (è proprio il caso di dire) con Salvini che mette nell’angolo il Cavaliere, fosse motivato solo da ragioni personali connesse alla sua gravidanza o da altro.

DIETRO GIORGIA MELONI FABIO RAMPELLI, IL PADRE DEI “GABBIANI”

E che altro allora? Ad esempio il fatto che chi influenza notevolmente la giovane candidata è l’on. Fabio Rampelli, oggi capogruppo alla Camera dei Fratelli d’Italia che fu non solo uno degli artefici della vittoria di Alemanno, ma si può considerare a ragione il padre dei “gabbiani”, formazione politica uscita da una costola di An nota per i suoi riti ai limiti del settarismo. Che poi i gabbiani siano ancora l’ossatura dei Fratelli a Roma è noto. Il fatto è che Rampelli e il senatore Andrea Augello (prima alfaniano oggi nel GAL con Quagliarello) hanno sempre condizionato il potere del camerata Gianni soprattutto nella spartizione di incarichi, poltrone, organigrammi e piani industriali. Una vecchia ruggine, quella fra i due, esplosa con l’irrevocabile opposizione di Fabio alla candidatura di Marchini, caldeggiata per oltre un anno dal senatore e che inizialmente sarebbe andata bene anche a Berlusconi. C’è poi da dire che tra i Fratelli militano anche molti esponenti di quella che fu la nomenklatura alemanniana, quali Ghera, assessore all’urbanistica, Benvenuti, presidente del cda di Ama e Kappler, per lungo tempo dominus in Risorse per Roma. Tanto per fare alcuni nomi che non certificano proprio quella rivoluzione generazionale promessa da Giorgia e Matteo.

LA ROTTAMAZIONE DI ALEMANNO MA NON DEL PASSATO

Eppure Rampelli, lo stratega, vedeva lontano perché già nel giugno 2012, come scrivemmo all’epoca su Cinque, aveva fiutato l’inesorabile declino di Gianni. Tanto da proporre sin da allora al supremo soglio capitolino la sua protetta, che allora proprio Berlusconi aveva voluto all’inutile “ministero della gioventù” (ah ingrata!). A confermare i sospetti nelle diaspora della destra sulla soglia della prossima rottamazione elettorale, fu una dichiarazione di Fabio che, dagli studi di Radio Città Futura, nel febbraio del 2013, alla domanda «le piacerebbe la Meloni come candidato del centrodestra a sindaco di Roma» rispondeva: «Sì, potrebbe farlo bene perché le prerogative di questa ragazza sono molteplici: è innanzitutto una persona grintosa». E, in merito alla possibilità di un secondo mandato di Alemanno al Campidoglio, rispondeva: «Non ho mica sposato Alemanno, anche se lo conosco da quando era ragazzo». Un modo più che palese per scaricare il camerata di tante antiche battaglie. Le cose presero un’altra piega. Alemanno perse la partita, il Pdl si frazionò con la nascita dei Fratelli d’Italia, ma l’aspirazione di Rampelli di vedere la sua protetta al Campidoglio non fu mai sopita. Legittima aspirazione che oggi ha preso corpo, ma non salva Giorgia da quel passato alemanniano sostanziato da uomini, personaggi ed esponenti. Alcuni dei quali corresponsabili di quel sistema di potere ben delineato dalla relazione di Cantone che travolge tutto un sistema di governo sino a Marino, forse ancor più del processo a Buzzi e Carminati. I politici, si sa, hanno la memoria corta e sono propensi all’embrassons nous al canto “scurdammoce o passato…” ma poi ci sono i Cantone o i Pignatone che non la pensano così. Di qui, forse, il dubbio amletico e le titubanze di mamma Giorgia.

 

Giuliano Longo

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