Ad essere sinceri, ma sicuramente ci sbaglieremo, non ci pare di coglier un clima di grande suspense fra l’opinione pubblica su tutta la tormentata vicenda del sindaco di Roma. Sarà perché i sondaggi (ah maledetti sondaggi!) lo danno in netto calo di consensi con un giudizio che per ora appare senza appello. Sarà perché la politica riguarda ormai solo gli addetti ai lavori, fatto sta che il clima di tensione emotiva sulla vicenda è piuttosto piatto. Come se la caduta di una amministrazione o di un altra poco influisse sul nostro vivere quotidiano sempre più affannoso ed affannato in questa città che deve scontare ben altri problemi. In fondo, par di udir nella tiepida aria ottobrina, Roma ha campato per 2800 anni e quindi camperà anche senza Marino.
Sotto il profilo politico, invece, la questione si fa interessante per i cultori della materia perché ciascuno vuol dire la sua approfittando dei disponibilissimi giornaloni, di Radio e Tv. Giochi, equilibri di potere che s’intrecciano soprattutto nel Pd romano commissariato e alla ricerca dell’identità perduta recentemente dopo che il prof. Barca l’ha demolita senza pietà con la sua indagine. Un partito ‘pericoloso e cattivo.’ In questa situazione di guerra di “tutti contro tutti” diviene difficile comprendere la recente affermazione del professore, secondo la quale il governo di Roma ha bisogno pur sempre di una forte personalità politica. Valla a trovare, non vi è bastato Ignazio? Così c’è chi scruta ora per ora gli umori del “Che Marino” chiuso nel suo bunker. Anzi sempre più affannato a tagliar nastri e sfornar delibere, perché lui è il sindaco ‘del fare’ jusqu’au dernier soufflé. Altri si affannano a decrittare i comunicati ufficiali che in genere dicono ben poco se non delle ovvietà.
Come quello diramato ieri dal gruppo capitolino del Pd nel quale si afferma che i consiglieri saranno compatti nell’accettare le decisioni del partito sulla sorte di Marino. Se non fosse che a decidere oggi sono il commissario Orfini e in via subordinata il vice segretario nazionale Guerini i quali hanno già danno per scontato che il sindaco si è dimesso. E qui cominciano i guai, perché tocca trovare la formula e le modalità per celebrare le “esequie” (in senso figurato ovviamente) del sindaco, ma questo nel comunicato del Gruppo non c’è. Ci sono invece le dichiarazioni del capogruppo Panecaldo che parla di dimissioni collettive non gradite da molti suoi colleghi. In fondo tutti “tengono famiglia” e in caso di elezioni a primavera molti resterebbero disoccupati sul serio.
Così la commedia degli equivoci, sulla quale Marino conta, prosegue mettendo nel tritacarne dei debiti della Federazione romana anche il suo ex segretario e oggi on. Marco Miccoli che si è pubblicamente schierato con il sindaco. Insomma tanti personaggi in cerca d’autore che non si sentono rappresentati dal commissario Orfini, il quale dal rimpasto di giunta di luglio (con Causi, Esposito e Di Liegro dimissionari) si sarebbe mosso per conto proprio combinando il pasticcio attuale. Perché il pasticcio c’è, visto che la fine del sindaco non può venir decretata per la storia degli scontrini per la quale non è nemmeno indagato, ma per un giudizio generale sul suo operato. Se è vero che il rapporto di fiducia fra il sindaco e i cittadini si è interrotto, si poteva defenestrarlo a luglio quando Roma poteva venir commissariata.
“Hai fatto tutto da solo, non hai voluto discutere, ti sei voluto prendere il partito, ci hai dato dei brutti e cattivi e non hai rilanciato il partito” ecc. Queste le voci, anzi, gli strilli, che echeggiano nelle orecchie di Orfini. Voci che sente anche il sindaco e ci gode. Si incrociano così due guerre: una palese contro “san Ignazio martire di se stesso” e l’altra, sotterranea, all’interno del partito di maggioranza. Come finirà questa brutta storia dipende tutto da Marino, quando confermerà o meno le dimissioni il prossimo 2 novembre. Il quale, per ora, il manico del torrone lo gira ancora lui che si autocelebra nei panni del movimentista tutto pop e baschetto da Che. Per di più difficile, che offeso nel suo Ego, sia disponibile a concedere molti favori. O mi fate uscire con l’onore delle armi o ve la tiro per lunghe, potrebbe anche dire. Anche se non pare che Renzi gli voglia concedere niente di più che due dita negli occhi. Ma si sa, la politica, come la donna del Duca di Mantova, è mobile, e Renzi ricchissimo di pensate. Basta, diremmo in molti, che ‘sta danza finisca. Quanto al voto si vedrà, in fondo nemmeno i favoriti grillini scalpitano poi tanto per andarci.
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