Riusciranno i nostri eroi a risollevare le sorti del Pd romano dopo “Mafia Capitale”? Bel grattacapo per il quale il commissario del Pd romano vuole uscire guadagnando tempo e magari lasciare altri tre anni a Ignazio Marino. Ma c’è anche qualcuno che quel Pd prostrato e confuso vorrebbe su altri contenuti e metodi. Parliamo dell’onorevole Roberto Morassut, una delle colonne portanti della amministrazione Veltroni in qualità di assessore all’Urbanistica, che negli ultimi tempi non ha mai nascosto le sue posizioni. E nemmeno lesinato critiche alla mancanza di visione strategica e coordinata della gestione di Ignazio Marino.
Amministrazione che pure difende in qualche modo con i precedenti cinque anni con Alemanno che «hanno intossicato la gestione e l’amministrazione introducendo una modalità famelica nella occupazione del potere. Il che, oltre che avvelenare i pozzi per chi sarebbe succeduto dopo, ha appesantito i conti e inquinato la gestione del potere». Se questa è l’eredità viene spontaneo chiedere quali siano le “colpe” del Pd che era alla opposizione. «Non si è preparato ad una nuova stagione del potere a seguito di quel vero e proprio collasso della destra del 2013 maturato da tempo. Una impreparazione – prosegue Morassut – che ha impedito di individuare una chiara direzione di marcia per la giunta che sarebbe seguita con la vittoria di Marino».
E sarà questa stessa incapacità a far collassare anche il Pd sino all’attuale inevitabile commissariamento di Matteo Orfini. Per dirla tutta ‘la versione’ di Morassut è che il Pd non ha visto, o non ha voluto vedere, le radici «eversive» di quella destra al governo di Roma inquinata da «certi poteri criminali percepibili ancor prima dell’indagine di Pignatone. Per queste ragioni il Pd « doveva evitare ogni rischio di consociativismo». Invece è caduto nella trappola della lotta fra le correnti per il potere che ha impedito di comprendere i cambiamenti che avvenivano nella società romana. Una incomprensione non solo del Pd di Roma «tanto che l’immagine riformista di Renzi risulta evidente all’opinione pubblica, mentre si appanna quella del partito che appare più attaccato agli aspetti di potere sui territori che a quelli politici. Avvinghiato alle logiche di quel potere».
Che messa così, poi, è il grande tema del “cos’è oggi fare partito a sinistra”. Eppure, tornando a Roma, la scelta di Matteo Orfini, presidente del Pd a commissario del Pd romano si è rivelata necessaria a seguito delle indagini della Procura. Decisione che non risolve il problema perché, prosegue Morassut «non ci fa riconquistare il terreno della politica, cioè quella dei contenuti che superino la pura logica del potere». Tanto che oggi il corno del dilemma è il seguente: «o una gestione burocratica che sistemi un pò le cose e ponga fine alla logica delle correnti, oppure ridare la parola ai tanti iscritti e militanti che in questo periodo si si sono sentiti tagliati fuori» Per fare questo «occorre selezionare una griglia di temi, di contenuti, sui quali ricostruire una linea politica sui territori».
E se risulta difficile proporre in questa fase un congresso straordinario del Pd romano che ripercorrerebbe la via delle correnti, «almeno indire una grande convention degli iscritti ai quali dare finalmente la parola» anche su temi fondamentali per l’Amministrazione, quali ad esempio le privatizzazioni nelle municipalizzate cui secondo Morassut occorre schiudere la porta, non con annunci improvvisati, ma con le idee ben chiare su modalità e tempi. Evitando il rischio di gaffes quali quella sui rifiuti, tema affrontato senza preparazione. In sostanza Morassut è convinto che rivitalizzando questa capacità di proposta e di analisi del partito si possa anche rafforzare l’attuale amministrazione. Volare alto allora? Certo sostiene l’onorevole «anche verso quella città-regione che diviene una priorità da adeguare ai modelli delle capitali europee».
Con l’aria che tira potrebbe apparire una mission davvero impossibile, eppure Morassut avrebbe trovato una certa apertura di Orfini alla sua proposta. Se poi qualcuno vedesse nell’ex assessore all’Urbanistica una reliquia del passato pre-alemanniano, la battuta è pronta: «nonostante la sconfitta di Rutelli alle comunali, il partito di Veltroni raccolse alle politiche il 41% dei consensi a Roma». Un pò meno di Renzi alle europee ma con un astensionismo nel 2008 ben inferiore. Orgoglio di un passato che “Mafia capitale” ha precipitato nell’oblio. Ma dov’è il nuovo che avanza?
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