Lorenza Bonaccorsi, deputata e membro della segreteria dichiarava ieri che «Fare le tessere non è l’indice della sana e robusta costituzione di un partito. Si sa come vengono fatte: sempre sotto primarie, sotto congresso, ci sono persino circoli che non esistono ma dove poi si vota. Non facessero i santarelli, oggi la partecipazione è un’altra cosa».
IL RAGIONAMENTO – Che è un ragionamento assolutamente coerente con la linea di Renzi che sta portando il partito liquido, profetizzato da Walter Veltroni, al partito liquefatto. Soprattutto a Roma dove chi si tessera lo fa giusto per abitudine o perché legato a clientele (teniamo tutti famiglia.) Si dà il caso che la renziana di ferro Lorenza sia anche la presidente di quel partito regionale del Lazio che oggi a Roma stenta a raggiungere un terzo del numero di tessere dello scorso anno (ma siamo ottimisti).
Siccome è convinta che più delle tessere conta il consenso elettorale che nelle capitale ha sfiorato il 42%per il Pd, è certa di non aver bisogno del lavoro dei militanti (peraltro in via di estinzione) perché tanto, con la nuova legge elettorale, cui stanno lavorando Renzi e Berlusconi, lei verrà comunque cooptata nelle liste che lo stesso Matteo predisporrà di persona facendo fuori tutti i relitti del vecchio PD (sempre che si arrivi alla scadenza del 2018).
NON SOLO TESSERE – Ma a Roma le cose sono un pochino più complicate perché il partito delle tessere (in estinzione) non è mai stato renziano tout court, anzi ha sempre premiato i Fassina e i Bersani. Ma è anche vero che l’unica discussione seria all’interno dei resti di questo partito lottizzato dalle varie correnti e gruppi di interesse, è praticamente inesistente. Basta vedere i bisticci sulle liste per gli eletti nell’assemblea della città metropolitana che hanno messo in difficoltà il segretario regionale on. Fabio Melilli da Rieti, che forse renziano non è, ma sicuramente vicino al ministro Franceschini.
Insomma a vedere l’esperienza di questo partito che pure ha fatto le glorie di Veltroni per non citare altri esempi preistorici, è difficile credere che possa transustanziarsi in un Caucus Repubblicano o in comitato elettorale virtuale di stile obamiano. Ma un partito si può sempre suicidare e il Pd romano lo sta facendo da tempo con masochistica determinazione. Basta vedere come Ignazio Marino (che questo Pd non ama dichiaratamente) abbia messo nell’angolo i potentoni Democrat che pure l’hanno scelto per guidare la Capitale.
MARINO TERMINATOR – Oggi Ignazio decide praticamente da solo, dallo stadio per la Roma al teatro dell’Opera, dal salario accessorio alla chiusura dei Fori. Flirta con Caltagirone che lo incensa e fa accordi sul futuro di Acea acqua, lui terminator che doveva essere il terminator dei poteri forti romani. Ispirato dai pochi fedeli del suo cerchio magico e dai due assessori al bilancio e ai trasporti, unici a contare in giunta. È pur vero che le ideologie sono morte, i sindacati sono alla frutta, i partiti nella loro forma tradizionale agonizzanti, ma Roma è una città strana che pur con un animo rosso antico, ha votato in massa Alemanno.
CONSENSO – Non solo, ma Roma è anche quella città dove il sindaco, non più marziano, ha raccolto a stento il consenso di un romano su quattro, un po’ come Renzi che ha preso il mitico 41% del 50% degli elettori aventi diritto. Orbene, se Lorenza Bonaccorsi, Ignazio e come loro buona parte del gruppo dirigente neo, vetero, post renziano, di questo partito romano correntizio, lobbistico e decotto conoscono tutto ( se non altro perché ci campano), di quell’altro partito sommerso, silenzioso, incazzato e rabbioso, quello del popolo delle periferie romane, disgregate ed emarginate, poco conoscono.
Anzi nulla, perché non dispongono nemmeno di quei quattro pellegrini di militanti che glielo raccontavano. Proprio perché, come dice Lorenza, i circoli nei territori sono chiusi, i militanti non discutono, non mobilitano e se ne fregano di una politica che non è la loro. Un partito che non ha più antenne, che non coglie più bisogni, difficoltà e contraddizioni di un popolo che sembra orientarsi con ben altre antenne, quelle tv e organizzarsi con ben altre reti, quelle web.
LA RICANDIDATURA – Con questo partito liquefatto, Ignazio Marino (il Renzi de noantri) annuncia di ricandidarsi “automaticamente” (dice lui) dopo che la città verrà prostrata da tagli di bilancio, sacrifici e disservizi. Ma di qui a 3 anni di automatico non ci sarà proprio nulla se il popolo di quelle periferie a votare non ci andrà proprio o sposerà il prossimo pifferaio di turno, magari più bello e più giovane e affascinante di Marino.
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