Gianfranco Angelini è uno di quei giocatori che rappresenta un’intera disciplina sportiva. “Ciccio” (come viene chiamato da tutti) è un’icona del calcio 5 nazionale, è stato uno dei migliori portieri italiani e ora si sta facendo apprezzare anche come dirigente. Ha giocato nella Roma, a Reggio, con la Brillante e con il Fiumicino prima di appendere gli scarpini al chiodo (nel 2011) e cominciare l’avventura di dirigente al club rossoblu e ora alla Lazio in serie A (è direttore tecnico). Ma il suo curriculum parla di 37 presenze con la maglia azzurra della Nazionale Italiana e soprattutto di un oro europeo conquistato a Caserta nel 2003. Una chiacchierata amichevole che parte dal presente, ma che fa un tuffo nel passato, che abbraccia decenni di futsal, dove lui con la sua presenza imponente – ma non solo fisica, anche caratteriale, una figura rispettata da tutti – ne è stato il re.
Partiamo dalla Lazio che dopo un avvio difficile ha trovato la sua strada, giocando una Coppa Italia da protagonista, perdendo solo in finale. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«In questa stagione non siamo partiti con il piede giusto. Avevamo una squadra completamente nuova, e c’è voluto un po’ di tempo per assimilare alcuni meccanismi. Ma una volta finito il rodaggio, abbiamo dimostrato di che pasta siamo fatti. Qual è la forza della Lazio? Il gruppo senza ombra di dubbio. È una squadra che si sacrifica per i compagni, ci sono veterani e ragazzi nuovi ma è un gruppo vero, che quando va in difficoltà sa tirare fuori quel qualcosa in più. Sono sicuro che ci regalerà ancora tante soddisfazioni».
La Nazionale azzurra ha vinto quest’anno il suo secondo campionato Europeo, lei ha fatto parte di quell’Italia che nel 2003 regalò il primo alloro. Che emozioni ha vissuto undici anni dopo?
«È stato bello tornare indietro negli anni, rivivere un finale sofferto, tanti ricordi e quegli ultimi istanti che ti separano dalla gioia e che sembrano non passare mai. Il fischio finale è una sorta di liberazione. Mi sono emozionato, e ho rivissuto le emozioni provate nel 2003». La domanda che inevitabilmente si accompagna alla Nazionale italiana è quella dei giocatori naturalizzati. Che ne pensa? «È un discorso complesso che non riguarda i giocatori, ma la legge italiana e chi comanda, anche perchè non riguarda solo il nostro sport. I ragazzi che giocano fanno dei sacrifici, vivono lontano da casa, dalle loro famiglie, e hanno sempre onorato la maglia azzurra, e ci hanno dato spesso quel qualcosa in più, e alcuni sono più “romani” anche di noi. Certo sarebbe bella una Nazionale in cui giocassero dodici italiani, ma bisogna anche dire che i giocatori naturalizzati ci hanno aiutato a fare un passo in avanti. Se si vuole dare una svolta non bisogna partire dalla Nazionale, ma dai singoli club».
Qual è il ricordo più bello della sua carriera e cosa si aspetta dal futuro?
«In assoluto il ricordo più bello è quello dello scudetto con la Roma, anche se poi la fama internazionale è arrivata con quell’Europeo vinto. Sono comunque tutte emozioni che non scorderò mai, sono i momenti più belli. Però non dimentico la promozione con il Fiumicino, che dalla serie B abbiamo portato in serie A, il grande lavoro fatto alla Brillante. Il calcio a 5 mi ha davvero regalato tanto, è stato come una famiglia, ho tanti amici. Ora sono alla Lazio, faccio il direttore tecnico e mi piace. Qui sto bene, lavoro con dirigenti come Di Saverio, con un presidente come Mennella, con una società professionistica come poche in circolazione che non ci fa mancare nulla. Si lavora bene».
Il ruolo del portiere è fondamentale, quali consigli si sente di dare ai giovani talenti emergenti e secondo lei in questo momento chi è il miglior portiere in circolazione?
«È un ruolo difficile, di responsabilità, bisogna essere forti di testa e poi bisogna avere anche le qualità tecniche e tattiche, ma queste da sole non bastano, e la cattiveria agonistica. La testa è fondamentale, sul resto ci si può lavorare e si può migliorare. Ora come ora il miglior portiere in assoluto è Mammarella, è sopra a tutti, non ci sono paragoni da fare. In ottica futura vedo bene Molitierno. Lo conosco da quando stava al Fiumicino, ed era giovanissimo. Ha ampi margini di miglioramento e l’ho detto in tempi non sospetti che sarebbe potuto diventare un portiere di alto livello. Sta dimostrando personalità, ha carisma, è completo e può fare il leader, deve solo fare esperienza. La Lazio è fortunata perchè ha due buoni portieri, Molitierno che è giovane e bravo e Patrizi che invece è più esperto e si è già fatto notare per le sue qualità».
Come vede il futsal laziale? La crisi è passata o le società soffrono ancora la poca disponibilità economica? Le vittorie e i buoni risultati della Lazio femminile, del Latina in serie A2 e soprattutto di Prato Rinaldo, Futsal Isola, Ariccia e L’Acquedotto in serie B maschile aiutano il movimento?
«La crisi c’è ancora. A Roma e nel Lazio in generale si paga, però, molto la mancanza di strutture, di spazi adeguati per fare calcio a 5, di palazzetti idonei alla disciplina. Le società sono costrette a sopostamenti di troppi chilometri anche dentro Roma, e spesso la scelta è quella di andare in provincia. In Puglia o in città come Pescara, invece, è più facile lavorare, portare avanti questo tipo di attività sportiva perchè c’è tutto a portata di mano, ci sono molte strutture in una determinata area e si è invogliati anche a fare investimenti. Ma se una casa non ce l’hai, allora che fai?».
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