Mentre alla Pisana l’opposizione di destra intigna sui rifiuti agitando lo spettro di Falcognana, discarica attiva da quasi 10 anni, e fa finta di non sapere che invece ha chiuso Malagrotta, Nicola Zingaretti passo dopo passo procede ad accorpare e chiudere le società regionali per risparmiare e dar loro efficienza.
Troppo lungo parlare di queste società, esempio luminoso di sottogoverno, clientelismo e sprechi, istituite dalle diverse amministrazioni che si sono succedute alla Cristoforo Colombo. Diciamo allora, senza trionfalismi, che Nicola ed i suoi hanno cominciato a metterci mano tagliando già 75 poltrone.
Ma ha fatto di più perché ad aprile ha deciso di chiudere l’Agenzia sanitaria (ASP). Qualche settimana dopo ha commissariato Laziodisu, l’ente che si occupa del diritto allo studio. Poi a fine settembre ha annunciato l’accorpamento delle cinque società finanziarie regionali dedicate alle imprese: Sviluppo Lazio, Bic, Bil, Filas e Unionfidi. Infine nei giorni scorsi ha fatto sapere che metterà mano al riordino del trasporto locale riducendo da 3 a una le aziende che si occupano di mobilità.
I risparmi ci sono perché tra cda e collegi sindacali di sette società si stima un risparmio di 15 milioni all’anno. Ma c’è anche un problema di efficienza che implica il superamento della duplicazione degli staff e della sovrapposizione delle funzioni, sprechi insiti nella assenza di coordinamento. Ma il presidente recentemente ha promesso un impegno sulle dismissioni del patrimonio pubblico che dovrebbe partire nelle prossime settimane con un primo pacchetto di beni pubblici da alienare per alcune centinaia di milioni. Nella lista ci sarebbero alcuni pezzi di pregio quali Santa Maria della Pietà e il San Giacomo.