La squadra mobile della questura di Roma ha eseguito 9 provvedimenti restrittivi a carico di cittadini stranieri responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento, induzione e allo sfruttamento della prostituzione, anche minorile. Tre ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip di Roma, sono state eseguite nella prima mattinata di oggi tra Pomezia e la Capitale, mentre sei fermi di indiziato di delitto sono stati effettuati nei comuni di Albano, Ardea e Pomezia già lo scorso 12 settembre. L’attività investigativa ha permesso di accertare l’esistenza di un sodalizio criminale, operante da diversi anni e composto da cittadini romeni gravitanti nel hinterland romano. Le vittime, tutte giovanissime donne romene, una delle quali minorenne, venivano costrette dai propri connazionali a prostituirsi durante il giorno lungo le strade consolari Ardeatina e Laurentina. Le donne erano sottoposte dai propri sfruttatori, ai quali in alcuni casi erano legate da vincoli affettivi, a continue vessazioni e minacce, come fossero ”cose” soggette al diritto di proprietà, ridotte e mantenute in un continuo stato di soggezione. Gli inquirenti della polizia di Stato hanno preso le mosse da alcune prime timide dichiarazioni rese da una di loro nel corso di un controllo sull’esistenza di una banda ben strutturata gerarchicamente, evidenziando per ogni associato un ruolo specifico. Al vertice della struttura V.C., il quale stabiliva le tariffe, concedeva i permessi e assegnava i posti. Questo inoltre si occupava, anche tramite sua moglie, di reclutare le donne in Romania. Mentre i singoli protettori avevano il duplice ruolo di organizzatori del sodalizio criminale e di sfruttatori di ciascuna vittima. Dalle indagini è emerso che una cifra variabile tra le 200 e le 300 euro dovesse essere versata settimanalmente per ogni donna ”autorizzata” dall’organizzazione a esercitare l’attività di meretricio nelle zone di loro competenza. Nel corso dell’indagine sono state oltre dieci le vittime identificate. Oltre ai soldi, destinati ad assicurarsi il posto di lavoro, le donne dovevano dividere il restante guadagno col proprio diretto protettore. Le somme del ”canone” imposto venivano poi versate dai protettori al vertice dell’organizzazione, direttamente o facendole recapitare tramite corrieri oppure transazioni bancarie in Romania, dove venivano reinvestite per l’acquisto di immobili. (Dire)
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