Venerdì il presidente della commissione capitolina alla Cultura Mollicone l'ha definita una "ciliegina sulla torta", quella statua di papa Wojtyla eretta alla stazione Termini e che ha suscitato una marea di critiche, tanto da scomodare l'autorevolissimo Osservatore Romano, ovvero la voce ufficiale del Vaticano. Tremate! Ma se questa è la "ciliegina" tocca vedere qual è la torta. Forse Mollicone si riferiva alla serie di incidenti che il sindaco ha registrato nelle iniziative di contorno della Beatificazione del papa polacco. Una beatificazione imponente e trionfale, ma molto costosa, al punto che oggi è ancora ignota la somma totale dei milioni investiti da Comune, Governo e forse Santa Sede per lo storico evento. Grandezza e splendore della Chiesa, trionfo dei suoi riti unanimemente esaltati da destra a sinistra.
Comunque tutto è filato liscio, ma il fuoco, spesso amico, contro Alemanno ha colpito laddove doveva colpire. Sul mancato concerto al Campidoglio con centinaia di presenze, anche eccellenti, costrette a sgombrare il prestigioso proscenio per le bizze del tempo, quando una copertura preventiva di poche migliaia di euro avrebbe potuto evitare gli insulti delle intemperie. Poi la famosa mostra del cubo, o meglio del cubo e dei parallelepipedi, con relativa selezione fotografica. Suggestive e talora dolenti immagini di Giovanni Paolo II, completamente disertata dalla contemplazione dei distratti passanti. Questa volta con un botto di soldi spesi che è parso ai più eccessivo oltre che inutile. Tuttavia scorrendo ieri le gazzette si notava che le critiche più feroci alla controversa statua provenivano proprio dalla stessa parte politica del sindaco, che ieri si è detto pronto a cambiamenti «se il giudizio della gente non sarà positivo». Una sorta di "cupio dissolvi" della maggioranza, peraltro su un controverso e non unanime giudizio estetico. Quindi se la torta, o meglio la frittata, c'è stata, tanto accanimento si comprende solo alla luce di quella faziosa guerra per bande all'interno del Pdl che tende a indebolire la credibilità e l'immagine del sindaco. Una sorta di rivolta di palazzo non di oggi, ma serpeggiante dopo il recente rimpasto di giunta che ha scontentato tanti e non solo Rampelli.
Eppure molti di quelli che oggi attaccano o prendono le distanze del sindaco facevano parte della "elite" del rinnovamento, anzi della rivoluzione, promessa da Alemanno dopo la sua vittoria. Basta il buon senso a suggerire che se le cose oggi non funzionano le cause non vanno attribuite esclusivamente a un sindaco, ma anche a quella classe che doveva essere dirigente nell'Amministrazione capitolina, nelle municipalizzate, negli enti, che ha mostrato la sua sostanziale inadeguatezza mentre occupava tutti gli spazi di potere e di lucro disponibili, da Atac a Eur Spa. Di qui il vorticoso turn over degli incarichi, il declino dei "favoriti" di un tempo, l'incertezza attuale dei fedelissimi. Per non parlare della compulsiva attenzione del sindaco ai sondaggi quindicinali che ormai consulta come oracoli, quasi sempre deludenti.
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