Legambiente chiede di chiarire subito la situazione dei depositi temporanei di rifiuti radioattivi delle centrali nucleari di Latina e del Garigliano nel Lazio. A Borgo Sabotino sono terminate le opere murarie del deposito temporaneo di rifiuti radioattivi, destinato a sostituire i depositi che risalgono al periodo di esercizio della centrale, che conterrà i manufatti dei rifiuti presenti nell’impianto, così come è in costruzione l’edificio dove saranno trattati e cementati i fanghi e gli splitters prodotti durante l’esercizio della centrale. Anche sul Garigliano, al confine del territorio laziale, è in fase di collaudo la trasformazione a deposito dell’edificio che ospitava l’impianto diesel d’emergenza ed è in avanzata costruzione un nuovo deposito,che ospiterà temporaneamente i rifiuti pregressi e quelli prodotti dal smantellamento della centrale.
Non sono bastati venticinque anni ed i tanti soldi spesi per capire come mettere in sicurezza le scorie radioattive prodotte nel breve tempo in cui le due centrali della nostra regione sono rimaste in funzione. Secondo i dati presentati da Legambiente qualche tempo fa nel dossier “I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum”, sono ben 1.425 tonnellate di combustibile scaricato dal reattore della centrale di Borgo Sabotino a Latina, ora in Inghilterra per il ritrattamento, ai quali si aggiungono altri 950 metri cubi di rifiuti radioattivi che sarebbero stoccati ancora sul posto; 322 elementi di combustibile della centrale del Garigliano, anch’essi inviati all’estero dopo lo stoccaggio temporaneo presso l’impianto Avogadro di Saluggia (Vc), a cui si aggiungono altri 90 metri cubi di materiale radioattivo condizionato con cementazione e 1.150 metri cubi di materiale a bassa attività, oltre a 253 fusti da 320 litri di rifiuti che risulterebbero essere ancora sul posto.
Va ricordato che la centrale di Latina si trova a Borgo Sabotino e nasce dall’iniziativa dell’Eni nel 1957 con la costituzione della società Simea, con capitale sottoscritto da Agip Nucleare (75%) e dall’Iri (25%). Attiva fino al 1986, la centrale produceva circa 26 miliardi di kWh, mentre nel 1987 il Cipe ne ordinava la definitiva chiusura. Nell’aprile del 1991 la licenza di esercizio viene modificata per completare le attività necessarie alla messa in custodia protettiva passiva dell’impianto. La centrale è oggetto di numerosi eventi anomali, dovuti a malfunzionamento delle apparecchiature. Il combustibile scaricato dal reattore, fra l’avviamento dell’impianto e il completo svuotamento del nocciolo, è pari a 1.425 tonnellate ed è in Inghilterra per il ritrattamento. Progettata sul finire degli anni '50, al confine tra Lazio e Campania nel territorio di Sessa Aurunca, la centrale del Garigliano apparteneva alla prima generazione di impianti nucleari dal gruppo Iri-Finelettrica e beneficiò di un finanziamento della Banca Mondiale.
L’impianto ha problemi di funzionamento sin dalla sua messa in esercizio nel 1964. Basato su una configurazione eccessivamente complicata, presto abbandonata dallo stesso costruttore, l’impianto ha un funzionamento discontinuo, fino all’arresto del 1978 dovuto ad un grave guasto tecnico. Nel 1980 la piena del fiume Garigliano raggiunge l’impianto, che libera nelle campagne radionuclidi quali il cesio 137, il cesio 134 e il cobalto 60. Nel 1982 l’Enel ne dispone la definitiva disattivazione. Oggi la Sogin ha avviato un piano di smantellamento e ripristino ambientali che dovrebbe concludersi entro il 2016.