912 persone di cui si prevede il licenziamento, 133 nella sede di Piazza Vescovio, altre 105 a Parco Leonardo e le restanti nella sede di Taranto. Lo ha annunciato Teleperformance, multinazionale francese che si occupa di telemarketing e call center. L\’azienda precisa che la scelta fatta è stata obbligata da una situazione economica disastrosa: «Teleperformance – si legge in una nota dell’azienda – ha avviato una procedura di mobilità quantificando in circa 1000 gli esuberi tra la sede di Taranto e quella di Roma. I motivi di questa scelta sono l\’esorbitante incidenza del costo del lavoro generata da una situazione fortemente penalizzante in cui Teleperformance si è trovata suo malgrado. Ad inizio 2007 la società decise di stabilizzare tutti i collaboratori a progetto interpretando in modo ampio la così detta Circolare Damiano. Ci era stato promesso dalle Istituzioni allora al Governo e dai rappresentanti del Sindacato che dopo il 30 aprile 2007 le aziende che non avessero stabilizzato sarebbero state punite dagli organi di vigilanza con multe severissime. Ma questo non è successo. Per poter guardare a un futuro di miglioramento Teleperformance auspica un immediato intervento governativo atto a regolamentare il mercato dei call center e richiede al governo di eliminare ogni forma di aiuto che leda la concorrenza. Il management si rende sin d\’ora disponibile ad ogni confronto sul tema con le istituzioni». Nella sede di piazza Vescovio il presidio organizzato da tutte le forze sindacali unite è numeroso e ben organizzato: sit-in e volantini, comunicati stampa e fitti dialoghi con la gente di passaggio e con i lavoratori. «Ma i giornali non ne parlano – dichiara Assunta Linza della RSU-CGIL – non parlano di una condotta scellerata dell\’azienda che in base agli accordi di stabilizzazione del 2007 passa da 900 lavoratori a 3500, godendo degli sgravi fiscali e degli incentivi messi a disposizione dallo Stato e poi dopo 3 anni vuole ritornare al vecchio organico magari assumendo con contratti a progetto pagati 3,50 euro all\’ora. Proprio ieri abbiamo avuto un incontro con i manager che confermano i licenziamenti senza prevedere nessun piano di rilancio industriale. Ora si appellano allo Stato e alla Regione Lazio per risolvere la questione, ma se proprio loro si facevano concorrenza da soli delocalizzando a TelePermance Albania, dove il costo del lavoro è più basso, mettendo in atto pratiche di dumping». Di diverso parere l\’Amministratore Delegato di Teleperformance Italia, Lucio Apollonj Ghetti: «Si tratta di una strada obbligata, anche perchè sono diversi mesi che l\’intero settore lancia segnali di allarme, segnali mai accolti». Numerose le reazioni politiche, su tutte quella di Cesare Damiano, Partito Democratico ed ex ministro del Lavoro: «Nel 2007 società come Teleperformance hanno stabilizzato tutti i collaboratori a progetto, poi il quadro politico è cambiato e si è nuovamente dato impulso ai contratti precari, creando delle disparità nel mercato. Noi chiediamo all\’attuale Ministro del Lavoro e al Ministro dello Sviluppo Economico se intendono avviare con urgenza un tavolo di concertazione con le aziende e le organizzazioni sindacali per scongiurare i provvedimenti di mobilità e per definire con le parti sociali una regolamentazione nuova del mercato dei call center che metta le imprese sullo stesso piano ed eviti che i lavoratori debbano perdere il posto di lavoro o subire un drastico ridimensionamento di salari e tutele». Insieme ai lavoratori nella sede di Piazza Vescovio anche Luca Sappino, di Sinistra e Libertà: «C\’è in ballo l\’idea stessa di lavoro, il valore delle garanzie e delle tutele. Perché TelePerformance è uno dei call-center che aveva regolarizzato tutti i suoi lavoratori, e oggi sostiene che proprio i contratti dipendenti sono la causa della crisi, il freno maggiore all\’impresa. Il rischio da combattere, il motivo per cui dobbiamo stare lì con tutte le nostre forze, è che sta passando l\’idea che il lavoro più tutelato porta ad un lavoro meno sicuro, ad un\’occupazione più incerta. E che la soluzione sia, ancora una volta, nella precarizzazione. Il rischio non è tanto che questa idea si diffonda tra manager e governanti – già da tempo prevalentemente convinti, direi – ma che trovi ancora più spazio nella testa dei giovani, degli stessi precari. Non possiamo permetterlo, muoviamoci subito».
Daniele Dalessandro