Locarno 72, il docufilm su Maradona di Asif Capadia. Il destino di un campione fra mito e decadenza

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Il regista Asif Kapadia , noto per alcuni documentari e film di grande successo come quello sul campione automobilistico Ayrton Senna del 2010 , presenta alla Piazza Grande del film fest di Locarno72 il lungometraggio di oltre due ore « Maradona » già presentato a Cannes.

Un prodotto cinematografico dal taglio nervoso, talora quasi ossessivo e drammatico.

Il focus del film sta nel rapporto del Campione con e la Napoli, con tutto il suo popolo dai quartieri popolari infestati dalla Camorra, alla borghesia « do Vommero » che oltre al tifo alimenta al mito,la santificazione, come appare nella scena di una infermiera che gli preleva del sangue per degli accertamenti e porta a sa Gennaro la provetta con il liquido quasi miracoloso del campione.

La storia è nota, nel settembre del 1984, la Società Sportiva del Napoli, che non ha mai vinto uno scudetto ed è in gravi difficoltà , recluta la più grande star del calcio mondiale dal Barcellona, lui, Diego, nei sette anni successivi poterà al delirio la città con un susseguirsi di trionfi, feste ed eccessi.

Ma il film dice molto altro perchè Diego, icona santa di una Napoli plebea e passionale, dopo quella esperienza  finirà per decadere in preda ai suoi problemi umani e psicologici, non ultima la dipendeza dalla droga

Presentato con successo a Cannes e presto sugli schermi italiani, Maradona non è dedicato alle platee degli sportivi, che comunque potranno ammirare le scene funamboliche della sua presenza in campo, ma analizza la personalità complessa di questo campione mitizzato e poi massacrato nel tritacarne dei media, mentre lui non si arrende, nella perenne ricerca di una ribalta da cui emergere e primeggiare come se il tempo,come se l’epoca d’oro, non scorresse anche per i campioni.

Il regista Asif coglie anche quanto c’è di doloroso nella parabola dell’uomo ancora vivente che, pur cadendo dalle stelle alle stalle, mantiene e difende, spesso fuori dalle righe, la sua dignità.

Tra i filmati del documentario, partite, interviste, radiocronache memorabili dove i commentatori trascendono scatenati dall’onda della passione per il campione, ma spuntanoanche ritratti di famiglia, testimonianze private e originali fra cui quella della sorella e del personal trainer Fernando Signorini, che ci disegnano un eterno ragazzo, insicuro e condizionato dalla sua infanzia dove impara a palleggiare nello slum in cui viveva.

Napoli per Diego é l’apoteosi dopo che o’ Presidente Ferraino lo ingaggia dal Barcellonanel 1984, ma con lo scudetto del 1987 diviene ufficialmente un eroe. Celebrato non solo allo stadio, per strada da Forcella a Spaccanapoli, da la Sanità a Piscinola, ma persino all’ingresso del cimitero , dove il macabro humor napoletano scrive su uno striscione «Non sapranno mai che si sono persi». 

C’è tuttavia anche un lato oscuro in questa parabola di luci e fanatismo sportivo, quando Diego, e il documentario lo esplicita,  diviene anche il campione della Camorra, della famiglia Giuliano, accettando ricchi doni e frequentando festini e locali nei cui bagni «succedeva di tutto».

Per il suo declino finale occorre  attendereItalia ’90 con quel rigore (infame, a detta degli italici tifosi) con cui Maradona mandò a casa gli Azzurri in semi-finale.

Da allora l’aureola di Diego va spegnendosi con la sua fuga da Napoli i controlli anti-doping, le intercettazioni della magistratura, che lo portano in tribunale lontano dai campi di calcio tranne una breve parentesi quale commissario tecnico della Nazionale Argentina alla fine del secolo scorso. Poi pubblica una sua biografia che diventerà un best seller e si dedica allo spettacolo televisivo, ma a Napoli, per le generazioni che lo hanno osannato, resterà un mito, quasi il « santino immaginetta » di una città che attende da sempre il suo riscatto.

Giuliano Longo

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