“O fim do mundo” nella realtà portoghese di una immigrazione di colore emarginata e vivace

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La comunità Capoverdiana  immigrata in Portogallo è particolarmente presente nella rassegna internazionale di Locarno,  quest’anno almeno con due film. Il primo che citiamo oggi è “O fim do mundo” realizzato da una produzione svizzera con  un numeroso cast di attori tutti di colore.  

La storia raccontata dal regista Basil da Cunha si svolge nella favela di un quartiere in demolizione dove gli immigrati formano una comunità emarginata ma sfaccettata nelle diverse posizioni sociali pur all’interno di una evidente miseria.

Così il film si apre con un battesimo e una festa che coinvolge tutta la  comunità dello slum dove, appena uscito dal riformatorio, Spira (interpretato dal giovanissimo e taciturno in conferenza stampa Michel Spencer) ritrova la famiglia a Reboleira (Lisbona) dove viene accolto dalla donna del padre piuttosto di facili costumi, dal padre immigrato altrove, eppure qualcuno gli fa capire di non essere gradito, in particolare Kikas  che, fanatico del Benfica, per le sue attività ha un ruolo preminente.

Spira con i suoi due amici conduce ancora una vita ai margini della legalità fra un perenne vagabondaggio e piccoli furti sino a quando si innamora senza tante esibizioni sentimentali di Iara (interpretata magnificamente da Iara Cardoso) una ragazza la cui casa deve venir messa in demolizione.

Sulla trama di questa relazione si svolge il dramma perché Spira spalleggiato dai due amici ucciderà Kikas, che l’aveva minacciato di morte per l’incendio della sua macchina,  durante un tentativo di furto accelerandone il decesso soffocandolo, proprio mentre la Favela esulta per la vittoria del Benfica.  Nell’indifferenza di questo gesto atroce si presenterà ai funerali della vittima per compiere non l’atto di rivolta, ma l’unico favore che deve fare alla ragazza amata, rubando e bruciando il buldozer destinato alla demolizione della sua casa.

Gli aspetti che potrebbero essere tragici di questa storia di vitale emarginazione si stemperano nella chiassosa e invadente vita della comunità “nera” alle prese con la quotidianità senza prospettiva ma dove il legame, le origini, le radici fra i singoli permangono nelle generazioni precedenti a quella di Spira. Per loro, sembra dire il film, non c’è speranza. Loro che del consumismo nemmeno più desiderano i fasti, si limitano a guardare forse con invidia ma senza speranze quella metropoli piena di luci che sta ai piedi di una collina. 

Così il film che riapre con il battesimo, si chiude con i funerali  di Kikas partecipati da tutta la comunità, quasi a chiudere un ciclo generazionale.

Giuliano Longo

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