Bilancio Roma: Ignazio Marino e la minaccia dell’aumento Irpef

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«Va ripensata tutta la macchina dei servizi comunali» diceva ieri il coordinatore della maggioranza Fabrizio Panecaldo. E in effetti, in tempi di ristrettezze come queste, e dopo i bagordi e le parentopoli dell’era Alemanno (con aziende allo sbando come Ama e Atac) questa sembra l’unica soluzione per dare futuro al bilancio della capitale, specialmente a partire dal 2014. Mentre il Consiglio dei ministri vara oggi il cosiddetto “decreto Salva Roma” la capitale vive un doppio dramma: quello dei conti della capitale, che porta i numeri degli anni 2013 e 2014.

Due partite una più difficile dell’altra, perché se nel 2013 il comune potrà spostare almeno 400 degli 816 milioni di debito sulla gestione commissariale, nel 2014 questa operazione non sarà più permessa. Ora la situazione vede il sindaco Ignazio Marino costretto ad approvare il bilancio consuntivo del 2013 e quello preventivo del 2014 nel giro di pochissime settimane. Sul primo fronte c’è l’aiuto del governo che sposta parte del debito (400 milioni appunto) sulla gestione commissariale che il Campidoglio si è impegnato a estinguere anno dopo anno (una massa di nove miliardi in tutto).

Superato questo scoglio partirà la corsa per approvare il bilancio 2013: scadenza tassativa 30 novembre. Al centro del confronto il taglio al trasporto pubblico, mentre un centinaio di milioni arriveranno in parte dai tagli ai dipartimenti comunali (circa 70 milioni) e in parte da altri 30 milioni del governo per la differenziata. Dalla Regione arriveranno 140 milioni per il trasporto pubblico. A queste cifre va invece sottratta la quota del Fondo di solidarietà che i comuni (che hanno ricevuto “troppo”) devono restituire allo Stato: per Roma per il 2013 si tratta di ben 59 milioni. Altro elemento irrisolto ancora sul tavolo è poi quello dell’entità dei tagli ai municipi.

C’è poi l’incognita 2014: senza la possibilità di un altro decreto governativo e con 900 milioni da recuperare alle casse a causa di minori trasferimenti dello Stato, il rischio maggiore è quello di un ulteriore aumento dell’Irpef, già oggi elevatissima a Roma con un 0,9 per cento. Di essa già lo 0,4 per cento viene accantonata per il debito della gestione commissariale e solo lo 0,5 entra nelle casse comunali, ma di fronte alle necessità è fortissimo il rischio di un aumento fino al massimo consentito dell’1,2 per cento che per i residenti a Roma significherebbe ben il 50 per cento in più del limite massimo consentito in tutti gli altri comuni italiani. L’irpef “supermaggiorata” porterebbe quindi nelle casse del Comune 140 milioni circa. Saranno poi possibili altri tagli, come ad esempio ai trasporti (50 milioni) e si cerca di realizzare altri risparmi attraverso la razionalizzazione del sistema delle aziende comunali e la revisione dei contratti di servizio.

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